arrivo a pechino: cortesia e polizia. non so come suonino in cinese
“cortesia e polizia”, ma so come suonano nei miei ricordi. questo
infatti è un ricordo, un salto indietro, una storiella buffa di oramai
due anni fa. ripescata dalla scatola di legno intagliata col bambu’,
dove infilo disordinatamente tutte le cose cinesi.
上
questi sono tempi di fortissimi ricordi di cina.
le fughe sotto l’acqua a mangiare tagliolini non sono abbastanza per riprodurre l’atmosfera della cina, a milano. sono intensamente malinconica, per quanto stia pedalando una bici cinese, studio come una forsennata anche se non avrei tempo per farlo, faccio gracchiare sulumi nello stereo fino a stordire (o nell’intenzione di) i vicini. non è la nostalgia del partirei domani, anche perchè forse in questo momento partire non sarebbe salutare.
è il pensiero alla cina che ti calamita a sè, perchè forse aveva
ragione chi diceva che 中 non indica semplicemente il cuore del mondo ma
anche il centro di gravità e dell’attrazione.
il pensiero delle cose lasciate laggiu’ a metà, dei primi amici, del lessico privato, delle abitudini nelle quali i nostri fratelli ci sembrano strani, dei
disastrosi ammiccamenti e il successo alle bische. la sensazione di
incertezza che si prova perchè ancora non c’è un filo tirato verso il
prossimo passo, e se ne vorrebbero tirare mille, per capire più
velocemente. la cina mi mancherà fino a che non ci torno.
sempre più spesso mi ritrovo a parlare con qualcuno in partenza,
o che ha amici che vanno a produrre caramelle, bulloni, presse, divani
e nuove imprese (d’altra parte i sinologi non stanno a milano..). mi
ritrovo a raccontare la mia cina, a volte a condividere molte cose.
spesso mi piacerebbe conoscere le singole reazioni e impressioni di
fronte al grande shock e iniziare a confrontarmi su quello che succede,
e come si cambia, quando incrociamo il cammino dell’asia.
comunque
anche questa storia viene fuori da un cilindro dei ricordi, in una sera
di ricordi in cui mi trovavo a cercare di trasmettere ad un amico il vuoto e il grande che accompagna le sere di autunno, e ho voluto raccontargli questo episodio e allora dopo un anno che me lo ricordavo è uscito cosi.
下
adesso ti racconto una storia buffa che mi capitò l’anno scorso quando
sono arrivata a pechino.
sono atterrata da un volo da kunming, era inizio dicembre e sono rimasta
un po’ shockata dal passaggio termico da +20 a +2, anche se ero preparata
trasportavo in solitaria dopo un mese di cina uno zaino di oltre venti
chili, più qualche altra borsa di minchiate da affidare alle poste, e
avevo in tasca l’indirizzo id casa di yilian, l’amica.
ero emozionata di tornare a pechino e felice anche perchè era proprio un
ritorno insperato, tant’è che ricolma di gioia ho fatto un viaggio
assurdo in un autobus sgangherato dall’aereoporto, a 20 kuai (che a meno di dieci mesi dalle olimpiadi era un vero cantiere, con pozze di fango larghe
metri.)
ad ogni modo scendo a dongzhimen, il posto piu’ vicino a casa di yilian
secondo la mappa della metro che avevo in testa, e che ovviamente era di
un anno più vecchia. errore.
nel frattempo c’era una metro nuova (tre o quattro, ho scoperto poi) che arrivava a dieci metri dalla mia destinazione, ma io non sapendolo mi sono incamminata appesantita per tutta la guojie, tutta la città dei fantasmi, fino all’ultimo semaforo dove svettava la metro.
luci, vetro, cemento, fantasia, e il biglietto a 20 centesimi.
vabbe, passiamo oltre.
avevo un indirizzo scritto in pinyin, e io stracolma di
orgoglio studentesco mi ero fatta sto sbatta clamoroso in aereo di
trasformarlo in caratteri e localizzarlo sulla mappa, perchè non mi fidavo che il pinyin sarebbe bastato per chiedere indicazioni. (saggia)
arrivo alla via, riesco anche a trovare l’ingresso dell’hutong, mi
aggiro un po’ (erano le sette di sera, buio pesto e un freddo cane),
smollo lo zainone in un angolo e inizio a cercare il nome del compound.
dopo un po’ nel buio scorgo i nomi dei compound scritti su dei cartelli
blu, all’altezza del terzo piano, e dico “figo, ora chiedo e me lo
diranno”. chiedo ai primi, che mi indicano che sono sul posto giusto, e
devo solo andare un po’ piu’ avanti. mi fido, ma sempre meglio trovare
un rinforzo positivo, cosi chiedo ancora. stessa risposta. insicura di
mè, dubito delle mie capacità di comprensione (e della fallacia del mio
troppo entusiasmo), e richiedo. cazzo, è il posto giusto. ok, cerchiamo
la stanza 101. il mio entusiasmo che in quella situazione era
all’eccesso si ricorda che i cinesi chiamano primo piano il piano terra,
e che quindi la 101 dovrebbe essere al piano terra.
ovviamente al piano terra del posto giusto dove mi trovavo della 三单元,
di stanza centouno neanche l’ombra. vado al secondo piano, dove,
ovviamente, c’è la 201. chiaro, tutto torna.
scendo, mi fermo, sbuffo e richiedo. sono davanti alla porta della 三单
元 inizio a chiedere, mostrando l’indirizzo, dove cazzo è questo posto?
e tutti, è qui, sei sulla porta giusta.
il primo, il secondo, il terzo, al decimo rispondo a bestemmioni.
diocristo, non è la porta giusta, 没有101 房间!
ma come tu sai meglio di me, i cinesi sono pignoli e precisi e le cose
brutte non te le dicono mai neanche quando stai per morire, quindi
nessuno che provasse a dire “forse non sei nel posto giusto”. mollo lo
zaino dentro la porta aperta della danyuan sbagliata (iniziavo ad
incazzarmi e iniziavo a comportarmi come in italia “devo andare a fare
un giro a vedere dove cazzo sono ma se mollo lo zaino me lo scavallano”)
e mi faccio un giro, controllando in tutta la via dell’hutong tutti i
cartelli blu all’altezza del secondo piano. niente, sembra proprio che
sono nel posto giusto…
yilian ovviamente in tutto questo ha il telefono staccato, e intanto
era passata un’ora e mezza, la temperatura era scesa a zero, e io stavo
congelando e ribollendo allo stesso tempo.
torno indietro, presa da un lampo di geniale idiozia dico “ok, la stanza
101 è al decimo piano, oppure lei voleva scrivermi 1001 ma s’è persa un
零(minchiata eh, lo so, ma ero disperata :)).
mi faccio i dieci piani di scale (a piedi) per verificare con mano il peso delle mie minchiate.
quei dieci piani penso di averli fatti perchè me dovevo sfogà.
ovviamente non c’è nessuna stanza 101, ma io a quel punto completamente deficiente busso (eh si!) alla porta del 1001 (sai mai!).
ovviamente apre un vecchietto cinese, in pigiama, che mi guarda con aria un po’ trasognata e io gli mostro il mio pezzo id carta con l’indirizzo e gli chiedo “dove cazzo sta questo?”. cosa risponde? “al primo piano”!
AAARGH l’avrei ucciso, gli ho detto che non c’era nessuna stanza al primo piano, l’ho ringraziato e me ne sono andata.
scendo (oramai quasi in lacrime), e a metà della rampa il tipo sempre in
pigiama ma con scarpa lucida mi sta seguendo e mi dice “aspetta aspetta
ti aiuto io”. viene giu’, mi aiuta a portare dentro i bagagli, mi offre
una siga (ahhhh, grazie! non fumavo da giorni ma è stata la cosa
migliore che potesse farmi) e nel mentre passano altre tre o quattro
persone tutte che confermano che quello è il fucking posto giusto e
chissà perchè la stanza non c’è.
fuori dalla 单元 si forma un capannello di persone, una decina,
tutte che si passano il mio stupido fogliettino e mi fanno domande e
scuotono la testa dicendo 没有房间
ora, io che il posto fosse sbagliato l’avevo capito, ma non avevo la
minima idea di come andare a cercarmi quello giusto.
temporeggiamo un po’, lui incalza la conversazione che io non capisco,
mi chiede un po’ di cose su come è fatta la mia amica (bionda, bella,
italiana, parla cinese, bla bla bla) fino a che dice “ah, ma io Conosco
la tua amica” (ha detto proprio 我认识你的朋友, risale le scale al
quarto piano e comincia a bussare forsennatamente ad una porta. io
volevo sotterrare dalla vergogna fino a che la porta si apre e compare
una bella fanciulla, bionda, ma che ovviamente non era yilian. pero’
era una simpatica francese, alla quale ho chiesto se potessi per favore
accomodarmi in casa sua a temporeggiare un po’ in questa ricerca, cosi
da liberare il simpatico omino, ricominciare a parlare una lingua umana
e ripigliarmi un po’. lei è stata molto carina, mi ha accolto, abbiamo
ringraziato e salutato il vecchietto dicendogli ok, posso restare qui va
meglio che niente. davvero grazie mille.
e fin qui, tutto bene.
dopo una mezz’oretta (passate più di due ore) ore) yilian risponde al telefono e decidiamo che lei scende giu’ in strada perchè probabilmente è solo un errore di scala, è un casino nel compound, torna giu’ che vengo a cercarti.
io e la francese scendiamo (con l’ascensore, che prima nel farmi i dieci piani a salire non avevo notato dietro l’angolo del corridoio…) e cosa c’è al piano terra quando si apre la porta dell’ascensore?
il vecchietto, che sorride, e due sbirri.
risparmio la trascrizione delle bestemmie che ho detto guardando la tipa
e dicendole, in italiano, non è possibile!.
fuori dalla 单元c’era una macchina degli sbirri con luci accese, due
poliziotti più quello che era venuto a prendermi, e volevano portarmi
non so dove, cioè lo so dove. per loro è davvero un modo normale per
aiutare la gente, e la cosa assurda è che il vecchietto non s’era
affatto abbandonato all’idea che lui potesse non aiutarmi Fino in Fondo.
richiamo yilian al volo e le dico “delirio. se siamo nello stesso
cortile non è difficile trovarmi visto che è venuta a prendermi la
polizia” scoppia a ridere e mi fa “ok aspetta cerco, ah si vedo il
lampeggiante laggiu’, arrivo, tu non salire in macchina!”
ahahaha mitica! in un secondo con questa battuta mi è sceso tutto, fanculo cina, bentornata, c’è sempre da divertirsi…
guardo (incertamente trionfante) i presenti dicendo “raga, deng yi xiar,
wode pengyou zhen zai lai”, e dopo meno di due minuti yilian compare
all’angolo correndo e ci abbracciamo in una scena davvero filmica (una
delle poche in vita mia, devo ammettere). la gente intorno ha iniziato
ad applaudire e il vecchietto mi dice “sei sicura che è lei la tua
amica?”. Geniale, avrei voluto avere una spilletta di superman in tasca
e mettergliela sul colletto del pigiama. o anche una di oR*gasm probabilmente pure meglio.
ringraziato tutti, grandi abbracci, zaijian e manzou, e finalmente
dritte a casa!
l’arcano della scala sbagliata è un inghippo alla cinese, di quelli che
“beh ma solo chi vive nella scala giusta sa come si chiama, gli altri
pensano si chiamino tutte come la loro” cosa che è spiegabile solo con
uno schemino disegnato, ma questa è la seconda puntata.
forse questa non è una storia buffa, ma goffa. pardon se t’ho annoiato,
ma mi è proprio tornata in mente immaginandomi te di fronte al sacchetto
delle “possibili soluzioni cinesi”, e alla sensazione bizzarra che
possiamo provare, nel trovarvi dentro caramelle, invece che biglie, a volte al sapore di maiale e zenzero.
到了
questa volta ho una nuova scatola, non è di bambu ma ha una forma tondeggiante, con dei fiori, mi piaceva talmente tanto che l’ho presa mezzo rotta e aggiustata. incredibile la capacità di questo paese di portarsi via il tempo, di questi mesi che sono passati, di questa unica strada, di quindici aerei presi, di terre e occhi rivisti e riabbracciati.
questa storia aspettava da tempo e mi piace ricominciare da un ricordo felice di quando ero per le prime volte in viaggio. ora sto qui, e nello stare cerco di ritrovare il viaggio, e mi vivo la cina.
troveremo il modo di raccontarvela ancora.
haha destreggiarsi tra i bui condomini cinesi è un’impresa,
della serie polizia portami via…
Ciao Fulan!
ciao mio caro…
procedo in cerca di storie, spesso tenute su da impalcature di bambu’.
vi abbraccio forte :)
ohh allora ciao :)
m.