wuxi è una citta nascostamente interessante.
la prima impressione sul taxi dalla stazione all’università è quella di una lunga e larga città spiccatamente cinese, in cui il fatiscente palazzo di cemento sovrasta la via ricolma di venditori di chuan 串, che data la forma del carattere non dovreste fare fatica a immaginare di che si tratta.
il taxi attraversa veloce le grandi vie e si perde su un lungo ponte, strade che noi chiameremmo di periferia e che invece collegano semplicemente parti della città ad un’altra, attraversate da file lunghe di bici e motorini elettrici che anche qui spadroneggiano. l’università è li’ in fondo, alla fine di uno stradone e all’inizio di una serie continua di piccoli villaggi e agglomerati di case bancarelle e negozi che rubano spazio all’asfalto. come dice qualche amico pechinese per prendermi solennemente in giro, wuxi è a metà strada tra shanghai e l’università :)
quello che il taxi non mostra pero’ è la piccola città nascosta dietro ai grandi palazzi, una città che come tutta la cina vede gru ad ogni angolo, vecchi edifici fare posto ai nuovi, case piccolissime che si affolano attorno ai vicoli dove i mezzi a due ruote sono gli unici che possono passare. ci ho messo un po’ di visite e diversi chilometri a piedi per capire un po’ l’orientamento ma quello che si scopre è decisamente interessante.
le tipiche costruzioni di wuxi sono come dei grandi isolati che si affacciano su grandi strade, con piccoli vicoli e viuzze piene di case a un paio di piani e strade ricolme di ogni oggetto e attrezzo da lavoro e di vita.
i quartieri vecchi sono quartieri in cui la gente lava ancora i vestiti per strada, e spesso in strada lavora, a ricostruire fognature, rifare tetti, nuove piastrelle ai pavimenti calpestabili e talvolta contribuire ai palazzi che sorgono attorno e al posto delle vecchie costruzioni. le donne, come sempre, lavorano ovunque e fanno di tutto, spesso nel fango. niente a che vedere con gli hutong ordinati di pechino e il folclore coloniale dei vicoli di shanghai. sono semplici quartieri poveri costruiti senza un ordine e un piano, ma che si mostrano nel loro essere splendidamente caotici, sporchi e cinesi, lontanissimi da qualunque concezione di urbanesimo e urbanità che dir si voglia.
è come se ci fossero due centri, uno moderno e ricco costruito attorno ad una piazza dai grandi palazzi commerciali, le plaza come si chiamano qui, edifici a otto/dieci piani con migliaia di negozi all’interno almeno la metà dei quali di marche riconoscibili e più o meno detestabili. una zona pedonale del passeggio e dello struscio dove mangiare cineserie variamente fritte, comprare un nike tarocco all’interno del negozio nike ufficiale e degustare un finto gelato italiano. qui valgono le carte di credito, i tassisti si fermano ogni volta che cerchi di attraversare la strada chiedendoti se ti serve un passaggio e nei supermercati di importazione si trova l’hagen-daaz e l’acqua frizzante.
poi c’è il vero centro sommerso, che manco a dirlo è quello che piace a me, distribuito in due punti tra loro distanti sulle due vie principali della città. uno è il tempio, che di tempio non ha niente se non l’ingresso monumentale e il tetto nel vecchio stile tradizionale con le punte all’insu’ e le piastrelle a mezza luna di decoro. dentro è un mercato, è un po’ come l’agorà greco, luogo per il passaggio e il passeggio, il filosofare dei vecchi, la ginnastica, la contrattazione furibonda sui prezzi e i cinesi che guardano diffidenti tutte le banconote da cento kuai (dieci euro, la moneta dal taglio più grande). nessun buon pensiero viene senza un buon affare, santo aristotele. ci ho comprato le mie prime piante, un piccolo alberello che ho messo sul davanzale della cucina e sotto il quale mi rifugio a leggere e un’aloe per ingraziare la buona sorte; e anche un po’ di buon incenso indiano, che all’inizio sembrava introvabile, e dei quaderni di carta di riso sui quali disegnare a matita.
a differenza dell’agorà è che questa non è una piazza ma un reticolo ingarbugliato di viuzze e piazzette che si incastrano l’un l’altra, delimitato da delle piccole mura e navigando il quale ci si finisce per affacciare su porte diverse che danno sulle diverse grandi arterie della città industriale.
la cosa che mi piace di piu’ di questo tempio mercato manco a dirlo è che all’ingresso c’è una bancarella di spiedini e fishball, e subito dopo inizia il mercato dei fiori, che in realtà sono qualche decina di isolati di viette e strettoie e piccole casupole piene dell’attività di fioristi e giardinieri, con ogni genere di vegetale immaginabile da queste parti, vasi multicolori, ceste, decorazioni, e bambu’ secolari intrecciati. sono stata tentata di comprare tutto ma mi sono limitata a qualcosa che per le dimensioni che ha forse rusciro’ a portarmi indietro a fine viaggio. e dopo il giardino ancora cappelli e ciondoli e spiedini e animali domestici, stranamente in mostra anche qualche piccolo gattino e delle cose che assomigliano a dei pulcini, in mezzo al fiume rumoroso di grilli, cavallette, cicale, vermetti, pesci triangolari e quadrati e gli immancabili topolini con le loro ruote. sapete che i gusti cinesi per gli animali domestici sono bizzarri e spero di riuscire a restituirvi un qualche suono dal rumoroso vicolo degli animali, che puzzolente e strettissimo ti ributta alla fine sul grande stradone facendo scomparire alle spalle il tempio profano.
il secondo centro importante della vecchia wuxi è il ponte, anch’esso concetto piuttosto traduzionale e qui quanto mai importante, perchè è il ponte sul fiume che arriva dal grande lago, da cui tutta la città prende acqua e a causa del quale tutta la città si ammala o si intossica, di solito verso marzo, quando nell’acqua del lago compare qualcosa che proprio non dovebbe comparire (d’altra parte, questa rimane evidentemente una città industriale). oltre ad essere un fiume su cui sorgono simpatiche e fatiscenti case-imbarcazioni.
il ponte è bellissimo perchè ti porta proprio nel mondo dei vicoli e delle piccole case disordinate, al mercato c’è la pasta fresca, il peperoncino profumato, e una sacca di spesa per una settimana con meno di settanta centesimi. per loro è ancora piuttosto strano che una occidentale si avventuri a comprare del cibo fresco dale bancarelle, e cosi cercano sempre di abbondare, oppure mi fanno scegliere la verdura che voglio, o mi danno consigli su come cucinarla, consigli che ovviamente non capisco mai fino in fondo. anche la lingua è proprio un bordello industriale, c’è uno dei dialetti più ostili di tutta la cina e a beijing tutti gli amici mi prendono in giro dicendo che con i mesi qui dimentichero’ il poco cinese che so, lo chiamano proprio 无锡话. ma io non demordo, e come sempre fino alla fine, ci provo.
vi lascio con una bella immagine transbucolica per ispirazione :)
bello. e ho capito il messaggio: porto la borsa di Mary Poppins. Quella che dentro può nascondere un attaccapanni, l’intero guardaroba e lo sciroppo multigusti. Noi ci metteremo fiori, ceste, semi, steli, panini. Ma anche un grillo parlante no?
graaazie
mmmm chuan….